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Emotional Eating: quando i bambini hanno bisogno di un abbraccio e non di una caramella

Sovente capita di assistere ad un atteggiamento di malumore dei bambini e capita che i genitori porgano loro dei dolcetti per cercare di alleviarlo… Come se una ricompensa potesse confortarlo meglio di un abbraccio o di una carezza.

Bisogna prestare molta attenzione a questo atteggiamento perché usare il cibo come strumento di conforto rischia di portare il bambino e di conseguenza il futuro adolescente in un circolo vizioso chiamato emotional eating.

Cos’è l’emotional eating?

Concettualmente si può tradurre con “mangiare per compensazione” ed è quel fenomeno per cui chiunque abbia una emozione che non sa gestire, la sfoga in una abbuffata di cibo.

Uno studio effettuato dai ricercatori dell’Università norvegese di Scienza e Tecnologia, dal King’s College di Londra, dal’Università di Londra e dall’Università di Leeds, effettuato su 801 bambini di età compresa tra i 4 e i 10 anni, ha analizzato il fenomeno dell’emotional eating.

Lo studio ha portato a scoprire come i bambini che venivano consolati dai genitori attraverso ricompense come merendine, dolcetti o pizzette,

All’età di 10 anni erano più propensi ad accettare il cibo come unica fonte di conforto e questo porta inesorabilmente in un circolo vizioso deleterio per la salute sia fisica che emozionale dei bambini e degli adolescenti.

Compensare con dolciumi o con cibo spazzatura (che normalmente è quello più usato in questo contesto) porta all’obesità precoce e alla bulimia, a parlarne è proprio Silje Steinsbekk l’autore principale dello studio, professore associato di Psicologia presso l’Università norvegese di Scienza e Tecnologia:

“L’alimentazione può aiutare a calmare e a superare i momenti critici, ma è sbagliato insegnare ai bambini ad affidarsi al cibo per affrontare le emozioni negative perché questa abitudine può avere poi delle conseguenze sulla salute a lungo termine.”.

Anche Arianna Banderali, presidente dell’Associazione Italiana Disturbi Alimentari e del Peso (Aidap) ha spiegato l’effetto dannoso di questa pratica:

“L’abitudine ad usare il cibo con una funzione consolatoria si procrastina e i bambini se la porteranno dietro anche da adulti continuando a reagire alle emozioni attraverso il cibo.”

Normalmente il rapporto con il cibo è molto complesso, l’uomo è portato a mangiare non solo per nutrirsi ma anche per provare piacere nel farlo, se poi ci aggiungiamo anche la componente emotiva derivata dal fatto che il cibo viene associato al conforto, allora c’è il rischio che il cibo diventi un’ossessione.

Non esiste una distinzione tra maschi e femmine, perché diversamente dai disturbi alimentari che colpiscono in prevalenza le giovani teenagers, questo tipo di comportamento viene enfatizzato da traumi legati sia all’alimentazione che non, quindi i bambini in generale sono a rischio di uso consolatorio del cibo, nel quale trovano soddisfazioni personali che non riescono a ricevere altrove.

Purtroppo questo atteggiamento porta ad un immediato senso di benessere ma che si trasforma molto velocemente in insoddisfazione e frustrazione che intaccano l’autostima.

Sostanzialmente il cibo viene visto come un anestetizzante del dolore, una ricompensa, un modo per evitare la tristezza, solo che mangiare in questo modo porta a problemi di salute e sovrappeso che vanno ad inficiare l’autostima e creano altri problemi ed il cervello chiede quindi altro cibo per stare meglio… insomma un circolo vizioso in cui il cane si morde la coda… anzi se la mangia!

Come ovviare all’emotional eating?

Sembra banale ma già da piccoli i bambini che chiedono conforto andrebbero abbracciati e non ricompensati con una caramella o un cioccolatino; il ruolo dei genitori è importante per creare un dialogo e un contatto fisico che non implichi del cibo.

Purtroppo da adulti gestire l’emotional eating è un po’ più complesso, bisogna abituare il cervello al fatto che quando si è tristi non è il cibo la migliore cura anzi è il cibo che spesso ci lascia insoddisfatti e infelici, un po’ come una droga, passato l’effetto inizia l’astinenza.

Per smettere di mangiare in questo modo e ricominciare a godere del cibo e della vostra vita in un modo completamente nuovo ci sono alcuni passi da fare, vediamoli.

Quando arriva la voglia di cibo non bisogna cedere alla tentazione e il modo migliore per farlo è distrarsi, trovare un’alternativa.

Un’altra cosa da fare è non abbandonarsi, non cercare di soffocare le emozioni, ma accoglierle e affrontarle.

All’inizio eliminare il cibo sarà difficile, quindi lo si può sostituire con qualcosa di più sano, un frutto per esempio, e non abbuffandosi ma cercando di assaporarlo, concedendosi il piacere di mangiarlo lentamente cercando di far capire al cervello che il piacere può essere dato anche da una piccola quantità di frutta.

Cercare di mangiare quando si ha realmente fame,

in questo modo che il corpo si abitui ai suoi ritmi naturali, e non ai ritmi imposti dall’ umore. Spesso chi soffre di emotional eating non mangia quando ha fame per paura di ingrassare, ma questo lo porta ad abbuffarsi quando insorge l’astinenza del piacere dato dal cibo… e questo porta il corpo ad immagazzinare più di quello di cui ha realmente bisogno, perché sa che quando avrà fame non riceverà il cibo.

Anche una buona organizzazione può aiutare, di solito chi soffre di questo disturbo conosce i momenti della giornata in cui inizia la crisi, organizzare quei momenti con appuntamenti, impegni, sport, incontri può risultare un’ottima alternativa al cibo. Inoltre è bene organizzare anche la dispensa con cibi più salutari nel caso il bisogno di cibo diventasse impellente.

E infine bisogna imparare ad amarsi, a nutrire il corpo di amore e tenerezza e la stessa

cosa va fatta coi bambini, dategli amore al posto di una merendina!

Fonte “Eticamente”

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