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DIPENDENZA AFFETTIVA. Scegliere il sentiero della salute: di Nicola Ghezzani.

 

La psiche – come direbbe Borges – è un “giardino dei sentieri che si biforcano”: ad ogni fase carica di dramma, abbiamo sempre almeno due opzioni diverse. Si tratta di un labirinto non spaziale, ma temporale. I suoi sentieri sono le diverse conseguenze che sortiscono da ogni singola scelta. Spesso, tra due opzioni scegliere l’una piuttosto che l’altra può essere fatale.

Prendiamo l’esempio della dipendenza affettiva.
Una donna è stata educata alla sottomissione, quindi crede che la sua devozione sacrificale verso l’amato sia vero amore e che sia sufficiente a generare altro amore. Quindi, se è innamorata, smania per lui, vuole essere vista, notata, preferita fra tutte; e quanto più il suo amato è lontano o indifferente tanto più lei moltiplica gli sforzi per essere notata. Se è già in una relazione di coppia, fa tutto quanto è in suo potere per dare soddisfazione al suo uomo: si sacrifica per lui, gli dona ogni sua risorsa, annullando se stessa. Ma chi non ha altra concezione dell’amore che questa devozione sacrificale sbaglia sempre l’oggetto cui dirigere le proprie attenzioni. Perché avendo dell’amore una concezione unilaterale, non cerca un uomo (o una donna) capace di reciprocità, cioè capace di restituire l’amore ricevuto. A questo punto, la dipendente, poiché non è amata, comincia ad essere essere infelice: il suo amato non è affettivo, pensa solo a se stesso, oppure, se è un narcisista e un manipolatore, la sfrutta e la maltratta.

A questo punto di fronte a questa donna si aprono due o tre opzioni psichiche possibili.

La prima: incapace di vedere le colpe del suo idolo, può sentirsi indegna del suo amore, forse dell’amore di chiunque, andare alla ricerca dei propri difetti, degli sbagli che ha commesso – veri o presunti – e affogare nel mistero dell’indifferenza dell’altro. Per questa via, che enfatizza il rifiuto e la condanna da parte del suo idolo, la dipendente affettiva precipita nella depressione.

La seconda: comincia a pensare che indegno di amore sia lui, non lei. Lei gli ha dato il possibile e lui ha goduto del suo sacrificio disinteressandosi a lei, ha vissuto come se lei non esistesse, ha avuto altre donne, oppure la ha maltratta, umiliata, offesa, talvolta con ignobile crudeltà. In lei cresce una rabbia incontenibile. Allora, si scaglia contro di lui con violenza, rivendicando ciò che gli è stato tolto, punendolo con ferocia. E si arriva a scontri mortali. In questo caso, la dipendente fa lo sbaglio di chiudersi nel suo odio e di vedersi solo come furia vendicatrice. Così facendo si condanna ad una nuova forma di dipendenza, una dipendenza che ha evacuato l’innamoramento e si è riempita di odio. Per questa via la dipendente affettiva scivola nell’aggressività isterica, quindi nel caos bordeline o nella depressione da senso di colpa.

Ma c’è anche un terzo sentiero.

La dipendente affettiva può capire il suo errore di partenza: capire che se ci si muove nel mondo delle relazioni con la compulsione al sacrificio, con l’astratta idealizzazione del partner e con l’inibizione ad ammettere che l’amore esiste solo nella reciprocità, allora prima o poi apparirà qualcuno che la sfrutterà con egoismo e con cinismo. La dipendente può allora capire che le sue sofferenze dipendono da lei stessa, cioè dalla sua vulnerabilità all’illusione e all’inganno. Nella sua vita non sarebbe mai esistito alcun “narcisista manipolatore” se non l’avesse permesso lei. Se comprende questa verità nascosta, allora può sciogliere il nodo masochistico che la lega al suo persecutore. Per questo sentiero, per il quale è fondamentale la conoscenza di sé, si perviene alla salute.

La salute psichica è la conoscenza di ordine superiore dei propri limiti, quei limiti che hanno prodotto una trappola esistenziale. Quindi, una conoscenza che ne implica il superamento. Ma prendere la via sbagliata è facilissimo, perché per sbagliare basta sentire senza pensare, reagire senza riflettere. Per sbagliare è sufficiente credere «che la realtà sia quella che sia vede» – come dice un verso di Montale. Mentre, al contrario, per essere sani occorre fare uno sforzo mentale di ordine superiore. Occorre capire che – nella strutturazione della coscienza, quindi nella psicopatologia – noi stessi siamo la nostra trappola e che l’altro è solo una nostra creazione; e occorre altresì capire che la prima legge morale da rispettare è chiedersi in che modo noi stessi stiamo creando il nostro nemico e il nostro persecutore (esterno e interno).

Per approfondire questi concetti, puoi leggere i miei libri: “VOLERSI MALE”, “QUANDO L’AMORE E’ UNA SCHIAVITU’”, “L’AMORE IMPOSSIBILE”, “L’OMBRA DI NARCISO”.

nicola.ghezzani.altervista.org

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