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Il Gesto e il Respiro nelle Arti Marziali: parliamo di Xin Yi Quan

Introduzione

 

Il ricco patrimonio di tecniche respiratorie di cui ogni arte marziale disponeva per sviluppare le virtù/abilità marziali,  è stato sostituito da altri metodi.

In tutte le “Vie” di ricerca spirituale il respiro riveste un ruolo centrale dal quale non si può prescindere pena l’insuccesso nel compimento dell’ ”Opera”. Lo Yoga indiano, per esempio, dedica al respiro interi trattati in cui sono descritte in maniera minuziosa le differenti tecniche respiratorie; anche nel Buddhismo e nel Taoismo il respiro è basilare per l’ascesi mistica, così come nelle differenti correnti dell’esoterismo Cristiano è condizione indispensabile per la comunione col Divino.

Purtroppo, nelle moderne arti marziali,  I pochi “frammenti” arrivati fino a noi dall’oriente, similmente a quelli dei trattati dei filosofi dell’antica Grecia, non solo sono interpretati in maniera confusa e arbitraria, ma sono usati in maniera impropria.

Infatti, non è raro vedere praticanti marziali che provano a fare degli “innesti tecnici” presi a prestito, il più delle volte, dallo Yoga Indiano, per sopperire a questa perdita.

I risultati fanno pensare che si tratti di metodiche, se non proprio inutili, quantomeno inadatte al moderno praticante. Buone, al massimo, come tecniche di rilassamento, ma del tutto inefficaci nel campo delle arti marziali.

Solo pochi maestri orientali, tra quelli arrivati in Italia fin dagli anni Sessanta, ha insegnato come usare il respiro, né come strumento di controllo dei propri stati mentali ed emotivi, né come forza propulsiva per aumentare la potenza del corpo.

La maggior parte dei consigli consisteva nell’uso della respirazione addominale.

Così si è  tentato di trasferire e integrare le tecniche di Pranayama dello Yoga, nella pratica marziale ma,  le due arti restavano separate e difficilmente si è riuscito a fonderle in un agire comune.

La difficoltà stava nel fare in modo che il respiro, così fluido e rasserenante durante le sedute di Pranayama,  diventasse forza nelle braccia durante le tecniche di pugno e potenza propulsiva nelle gambe durante gli spostamenti; che desse stabilità senza rigidità e forza senza durezza.

Da una parte il Pranayama  permetteva di percepire le enormi potenzialità che si potevano sviluppare da una pratica consapevole del respiro che non era possibile trasformare nelle qualità della pratica  marziale.

Un nuovo paradigma tra Movimento e Respiro

La soluzione è arrivata, all’inizio degli anni Ottanta, nella pratica delle arti marziali interne cinesi (Taiji Quan e Xin Yi Quan) che, non ancora contaminate da una visione modernista, avevano mantenuto quel ricco patrimonio di pratiche interne che mi permisero di coniugare, nel tempo, ricerca interiore e potere marziale.

Attraverso queste arti,  bisognava uscire dalla logica del respiro come “sole immobile” intorno al quale ruota tutto il resto, tipico delle Vie di ricerca interiore, e focalizzare l’attenzione sul movimento.

Il cambio di prospettiva  avviò la “trasformazione marziale” del  corpo.

Movimento e Respiro nella pratica marziale sono inscindibili come una coppia di ballerini, e si sostengono l’un l’altro in maniera attiva con una precisa gerarchia che non va sovvertita: il movimento “conduce” e il respiro “segue”.

Solo così si può avere un’efficacia e un’efficienza che durino nel tempo.

Le tecniche respiratorie del Pranayama, così come quelle delle diverse Vie, al contrario, richiedendo assenza di movimenti e immobilità corporea rompono questo rapporto. Quindi, sebbene utili per lo sviluppo interiore, sono quasi del tutto inadatte alla pratica marziale per sviluppare il potere che si può ottenere dal legame movimento-respiro.

Legame che richiede esercizi creati apposta per questo scopo che, purtroppo, nelle moderne arti marziali, troppo concentrate sul movimento generato dalla sola potenza muscolare degli arti, non vengono usati. Senza di essi il “gesto che respira”, non si realizzerà mai, e non si attiverà tutto quel “sistema propulsore interno” in grado di muovere il corpo con grazia e potenza.

Con gli esercizi di lavoro interno energetico (Nei Gong), così sono chiamati nella tradizione marziale cinese, non solo si “respira attraverso il gesto”, ma il gesto, opportunamente allenato, si può trasformare in “gesto di potere” in grado di cambiare totalmente la pratica marziale.

Però, affinché questo avvenga non è sufficiente una ricerca “fai da te” che mette assieme conoscenze diverse e frammenti d’insegnamenti di questo o quel maestro, ma ci vogliono trasmissione diretta, attraverso un Maestro, ed esercizi nati con e per le arti marziali.

 

 

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